Il canto della Fenice. Il libero jazz di Jeanne Lee (G. Guglielmi)

Qui puoi trovare tutti i link delle risorse online citate in questo libro ed eventuali contenuti extra. Buona esplorazione!

Intorno a Jeanne Lee.
Alcuni esempi del panorama artistico nel quale Jeanne era immersa

“Chuncho (The Forest Creatures)” – Yma Sumac

Ascoltando questo brano non possiamo sorprenderci del fascino che questa artista, ribattezzata anche come “l’usignolo delle Ande”, ebbe sulla giovane Jeanne Lee. La Sumac, voce dell’exotica, un genere musicale molto popolare fra gli anni ’50 e ’60, condensa in sé una strabiliante competenza vocale al carisma e alla misteriosa bellezza. Il suo canto è a tratti ultraterreno e si ispira ai suoni della natura ascoltati in giovinezza. “Chuncho” – fra suoni tremoli e flautati, arditi intervalli, allitterazioni, emissioni gutturali che trasportano l’ascoltatore idealmente in una giungla tropicale – rappresenta senza dubbio un esempio di avanguardia vocale alla quale molti artisti dopo di lei attingeranno. Il brano è tratto dal terzo album della cantante peruviana, “Inca Taqui”, pubblicato nel 1953.

“Score for Tony: Second Movement” – Oralizations, Paul Dutton

Dutton (canadese classe 1943) è considerato uno dei principali esponenti della vocal sound art. Improvvisatore, soundsinger, oltre che poeta e scrittore, si è esibito fra Canada, Europa e Stati Uniti in ensemble e solo. Nell’album Oralizations si mischia materiale poetico-verbale a suoni vocali non-verbali, in una ricerca sonora che dissolve i confini fra poesia e musica.  In “Score for Tony: Second Movement” l’insistenza ossessiva sui fonemi, sulla ritmicità e sonorità che trova fondamento nella parola stessa, ricorda molto il trattamento che anche Jeanne Lee riservava ai componimenti poetici nelle sue performance. 

“eaaa variations” – Phil Minton

Phil Minton (classe 1940) è un vocalist e trombettista britannico, esponente dell’avanguardia free. È conosciuto soprattutto per i suoi lavori in forma completamente libera, in cui l’utilizzo della cosiddetta “tecnica vocale estesa” crea nell’ascoltatore/spettatore un effetto straniante, a tratti anche inquietante. La performance del febbraio 2014 alla Kunstraum di Düsseldorf qui proposta consiste in una sorta di “flusso di coscienza” voco-sonoro. L’uso anarchico dello strumento voce vuole cogliere il pubblico impreparato, destando sorpresa, fascinazione e forse anche disgusto, obbligandolo a porsi di fronte all’enorme potere evocativo ed espressivo che risiede in ogni essere umano. 

“Aria” – John Cage 

Nel 1958 John Cage, invitato allo storico e famoso Studio di Fonologia di Milano da Luciano Berio, compose questa aria per la mezzo soprano Cathy Berberian (1925-1983), alla quale il brano è anche dedicato. La cantante statunitense di origine armena, moglie di Berio, fu pienamente coinvolta nelle avanguardie musicali degli anni ’50 ed il sodalizio con il marito è di sicuro una delle pagine più interessanti della musica del Novecento. Anche in questo caso, come per Jeanne Lee, ci troviamo di fronte ad una artista eclettica e talentuosa, in cui l’attenzione per la componente corporeo-gestuale e recitativa si abbinava ad ironia e senso dello humour. Lei stessa tendeva a definirsi, più che una cantante col talento della recitazione, un’attrice che sapeva cantare. La composizione di Cage è fatta su misura per lei e per le sue capacità. La partitura informale ricorre a segni grafici in sostituzione del pentagramma e delle note, parole e suoni tratte dalle cinque lingue conosciute dalla Berberian (armeno, russo, italiano, francese, inglese), differenti stili, dal jazz alla lirica, fino all’imitazione di personaggi allora molto famosi, come Marlene Dietrich e Marilyn Monroe. La voce decodifica la partitura in maniera libera e personale. L’esecuzione di Aria prima a Roma nel 1959 e poi ai Ferienkurse di Darmstadt, rappresentò il debutto internazionale per la Berberian nella nuova musica.

“Voice Piece for Soprano” – Yoko Ono 

Come rileva lo studioso Chris Tonelli, nei lavori di Yoko Ono “i suoni non semantici ma referenziali come i gemiti e le urla servono a invocare riflessioni su genere, embodiment (“corpo incarnato” in italiano) e potere”. Similmente a Jeanne Lee, la Ono si è mossa agilmente fra gli ambienti legati all’arte vocale e il jazz (collaborò infatti con Ornette Coleman, Charlie Haden, David Izenson e Ed Blackwell), tanto che entrambe possono esemplificare il concetto di “mixed avant-garde” (avanguardia mista) usato da Benjamin Piekut. Non è un caso che anche Yoko Ono fosse attiva nell’ambito del movimento Fluxus. “Voice Piece for Soprano” è, come altri lavori dedicati alla vocalità, degli inizi degli anni ‘60. L’interprete è invitato ad urlare in tre modi diversi ed incoraggiato ad “esagerare” vocalmente, abbattendo i confini di ciò che è accettato in ambito performativo, con un effetto quasi traumatizzante per il pubblico che assisteva dal vivo. Insieme a questo ricordiamo “Cough Piece” e “Whisper Piece”. Tutti questi lavori sono senza alcun dubbio interdisciplinari, liberamente a cavallo fra arte visuale, poesia, musica e teatro. 

“Apartment House 1776” – John Cage 

Abbiamo descritto nel libro questa composizione di Cage, pensata appositamente per il bicentenario della Dichiarazione di Indipendenza americana del 1976. Jeanne Lee fu una della cantanti coinvolte in questo progetto. Il critico Tim Rutherford-Johnson sul suo blog dedicato alla musica contemporanea scrive: “Nel suo trattamento di questa musica, però, Cage raggiunge qualcosa di davvero notevole. Sovrapponendo i differenti elementi musicali l’uno sull’altro e uno accanto all’altro, alla maniera del grande “Musicircus”, ogni elemento a sua volta viene elevato e livellato. Dal momento che ogni elemento […] viene suonato direttamente e gli viene conferita dignità e presenza nel suono, in un momento o nell’altro (secondo tempi selezionati, naturalmente, attraverso operazioni casuali e non in base al gusto individuale), si verifica un curioso effetto di privilegiare tutto contemporaneamente. Il brano diventa una gioiosa e eloquente celebrazione dell’ideale americano messo su carta nel 1776. Ma non è, certamente, un brano sull’America del 1776, o anche del 1976. Tuttavia, gli elementi che emergono dalla musica sono applicabili oggi – all’America e al mondo. […]Il metodo di Cage ha un effetto equalizzante – questo era al centro di gran parte della sua filosofia – ma è un errore pensare che gli elementi individuali siano portati allo stesso livello. Il genio di Cage – e il motivo per cui, in realtà, l’ego del compositore (ovunque esso sia) è ancora cruciale per la sua musica – sta nel elevare questi elementi al di sopra di tutto il resto. Tutti i suoni possono essere creati uguali, ma quelli che Cage ti chiede di suonare sono più uguali degli altri. Questo è qualcosa su cui riflettere.” (Tim Rutherford-Johnson,  Music Since 1960: Cage: Apartment House 1776, 18 ottobre 2005, https://shorturl.at/zidIk )

“Wordless Vocalizing” – Urszula Dudziak

Classe 1943, la versatile cantante polacca Urszula Dudziak iniziò la sua carriera sul finire degli anni ’50 per poi trasferirsi negli Stati Uniti nel 1973. Ha lavorato con artisti come Archie Shepp e Lester Bowie e fu membro del Vocal Summit Group, con Jay Clayton, Jeanne Lee, Bobby McFerrin, Norma Winston, Michelle Hendricks, Lauren Newton. In questo audio si possono apprezzare le sue acrobazie vocali, in una sorta di scat elettronicamente processato, che la fecero comparare a Yma Sumac. 

“Sappho” – Jay Clayton

Jay Clayton (1941-2023) è stata una delle innovatrici in campo vocale jazz, a partire dalla fine degli anni ’60. Collaborò per oltre un decennio con il compositore Steve Reich e strinse un legame molto stretto con la sua mentore, la cantante Sheila Jordan. Inoltre fu membro del Vocal Summit Group. Fu anche insegnante al City College di New York, al Peabody Institute e all’Università di Princeton. Il brano selezionato è tratto dall’album “Circle Dancing” del 1997. 

“Do You Be” – Key, Meredith Monk

Questo brano è tratto dall’album di debutto di Meredith Monk, “The Key” del 1971. Compositrice, cantante, regista, coreografa e ballerina, la newyokese Meredith Monk (1942) a partire dagli anni ’60 ha creato opere multidisciplinari. Nel 1968 fondò la compagnia “The House”. L’album “The Key” offre uno sguardo sulle innovazioni vocali dell’artista e portò alla ribalta il suo approccio multidisciplinare. Nel lavoro compare anche la voce di Dick Higgins, poeta e compositore inglese naturalizzato statunitense, che collaborò in vari progetti con Jeanne Lee. 

“Shadowsong” – Sound Paintings, Joan La Barbera

Joan La Barbera (1947), compositrice e cantante nata a Filadelfia, è un’artista eclettica ed influente nel campo della musica contemporanea. Cantante virtuosa ed esploratrice di timbri e tecniche legate alla respirazione (respirazione circolare) o al canto armonico. Ha eseguito brani da compositori come John Cage, Robert Ashley, Morton Feldman, Philip Glass, Larry Austin, Peter Gordon, Alvin Lucier e suo marito Morton Subotnick. L’album “Sound Paintings” è del 1990, registrato fra Berlino, New York e Santa Monica (California) ed offre dei veri e propri “dipinti vocali” privi di manipolazione elettronica. Il termine Soundpainting richiama anche una metodologia di composizione estemporanea dal vivo multidisciplinare creata da Walter Thompson nel 1974 ed utilizzata da musicisti, attori, ballerini, artisti visivi. Il soundpainter si pone davanti ad un gruppo e comunica in tempo reale attraverso dei gesti codificati il tipo di suoni che vuole siano eseguiti. 

“Composition 1960 No. 7” – La Monte Young

Figura significativa nell’ambito della musica sperimentale, La Monte Young (1935) è riconosciuto come uno dei primi compositori minimalisti americani e personaggio centrale del movimento Fluxus. Fu allievo di Karlheinz Stockhausen a Darmstadt e si ispirò alla musica di John Cage. “Composition 1960 No. 7” è esemplificativo del suo approccio alla musica sperimentale e minimalista insieme alle altre composizioni della serie datate 1960, imperniate sul concetto che l’opera d’arte possa servire in sé, senza abbellimenti superflui. 

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